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Lo Psicologo “à la carte” Dal 1 luglio 2007 è entrato in vigore l’accordo sottoscritto dal CNOP con le sei più importanti Associazioni dei consumatori (firmato in data 3 aprile 2007), e denominato “Carta dei diritti del Consumatore utente”. Attraverso tale accordo e a partire dalla suddetta data di luglio, i colleghi psicologi possono aderire all’iniziativa attraverso richiesta formale al Consiglio Nazionale, che in questi giorni (22 gennaio 2008) ha provveduto a spedirlo in formato cartaceo. Tale adesione offre ai colleghi l’opportunità della conciliazione gratuita con i clienti in caso di contenzioso. Di che cosa si tratta? Al di là della meritoria idea del CNOP di intavolare un dialogo proficuo con le Associazioni Consumatori, in funzione della tutela dei clienti che si rivolgono agli psicologi, il documento finale presenta talune caratteristiche di inappropriatezza, da rischiare di creare serie difficoltà alla relazione terapeutica. Ci sembra buona l’idea di definire alcune linee guida per la definizione di un accordo capace di accrescere il livello di informazione consapevole e la trasparenza, ma senza perdere di vista la relazione terapeutica e di conseguenza la persona. Tali indicazioni inoltre strutturano un insieme di interventi che risultano al contempo restrittivi dell’autonomia del professionista, svalutanti nei confronti del cliente e capaci di interferire sul setting psicoterapeutico. Si tratta, pertanto, di una proposta che stride fortemente con le aperture in tema di liberalizzazioni professionali determinate attraverso la Legge Bersani, dando l’impressione che non appena vi sia da parte di un’istituzione un’apertura verso una maggiore autonomia professionale, d’altra si scateni la necessità di rimettere paletti e sfiduciare ogni accordo consapevole tra le parti.
Vediamo più nello specifico di cosa si tratta.
Un primo neo della proposta, che nelle parti iniziali prevede elementi ampiamente condivisibili (comunicazione della propria formazione, approccio utilizzato, segreto professionale, ecc. si veda il testo della Carta I diritti degli utenti), è rappresentato dalla comunicazione telefonica dell’onorario. Tale elemento, che attiene alla dimensione commerciale della relazione terapeutica, è visto già come critico in ambito strettamente commerciale, nel senso che sono moltissimi gli esercenti che non prevedono di dare indicazioni di prezzo per telefono. Nessun Comune italiano o Camera di Commercio ci risulta abbia emanato direttiva o altro che impone la comunicazione del prezzo per telefono. Se in ambito commerciale non fornire il prezzo può stimolare il contatto diretto con la merce offerta, in ambito psicologico l’elemento prezzo è così indissolubilmente collegato alla relazione, che si rischia di modellare già qualcosa di diverso a fornirlo per telefono. Tale elemento è anche strettamente collegato alle indicazioni dei diversi modelli terapeutici, che rispetto al tema in questione, propongono una variabilità di approcci. Si tratta, pertanto, di un’ingerenza nel setting psicoterapeutico.
Nel capitolo Trasparenza del contratto della Carta, che si esprime negli artt. 3 e 4 del contratto vero e proprio, troviamo altri due scivoloni. Vediamoli: il primo è rappresentato dall’inserire “i tempi indicativi dell’intervento o trattamento”, il secondo dal non aumento della tariffa per tutto il corso del trattamento. Sul primo punto, in nessuna parte del mondo esiste un indicazione specifica sulla durata di trattamento sui disturbi o sulle afflizioni psicologiche se non in taluni casi specifici, ad esempio interventi in problem solving. È tale la specificità di ogni essere umano da rendere improponibile un discorso di questo tipo. Primo e secondo punto possono diventare, insieme, molto critici per il cliente. Se sono, infatti, un psicologo corretto a livello professionale darò un’indicazione legata a quanto mi dice la letteratura scientifica esistente, facendo le opportune specificazioni; se non sono un professionista corretto, posso seguire la strategia di fare accordi semestrali o annuali, al termine dei quali posso ricontrattare anche la tariffa. Vogliamo fare un ultimo cenno su questo punto, ammettiamo che il cliente accetti il discorso della difficile prevedibilità del trattamento, cosa che ci vincola al mantenimento del prezzo, non si capisce perché in un contesto caratterizzato dalla centralità del mercato, anche se con un’inflazione al 2%, il terapeuta non debba avere diritto ad un eventuale incremento periodico del suo onorario (con una misura dell’incremento magari stabilita a priori). Quindi da una parte il professionista deve essere disposto a stipulare accordi in funzione delle più moderne tutele del mercato (associazioni dei consumatori), dall’altra dimenticarsi che esiste un mercato in funzione del proprio onorario. Ritengo tale riferimento parziale e che tiene conto solo di una delle parti coinvolte nel contratto.
Della stessa natura, a nostro avviso, è la comunicazione della disdetta dell’appuntamento entro 24 ore, che ritroviamo nell’art. 6. Ai firmatari della proposta forse non è chiaro che l’attività libero-professionale è spesso molto composita e fatta di diverse attività (docenza, supervisione, terapia, consulenze, ecc.), per la sua profonda diversità da un’attività dipendente un lasso di tempo così ridotto è pressoché impossibile da occupare in altro modo, con una perdita economica secca esclusivamente a carico del professionista; questi dovrà ugualmente rispondere per quella ora oltre che del mancato reddito anche dei costi collegati, esempio affitto studio o della singola stanza per un numero di sedute programmate e altre tasse inerenti alla gestione dell’attività. Accettare tale elemento, attraverso la sottoscrizione della Carta, ci pone in un processo di “dono” non giustificato sul piano relazionale da nessuna ragione adulta e responsabile, diventando esso elemento “genitoriale” della relazione.
Altra questione è la cosiddetta giusta causa (vedi art. 8 del contratto) per la recessione del contratto terapeutico da parte del professionista. Tale elemento, se non considerato all’interno di un quadro di malattia grave del terapeuta o di trasferimento in un’altra città, necessità di una maggiore spiegazione. Riteniamo utile una ulteriore specificazione per stabilire se sono da escludere o meno da tale articolo quelle situazioni che si riferiscono a difficoltà transferali e controtransferali e che necessitano di un confronto con un supervisore prima di giungere alla delicata scelta di interrompere il trattamento.
Da ultimo un accenno al metodo seguito per la definizione della Carta. Credo che su tematiche come queste, di sicuro innovative all’interno della professione, sia fortemente auspicabile dare avvio ad un processo che si costruisce gradualmente con i colleghi o con un gruppo autorevole di essi, per poi magari sottoporlo, questo si, ad un referendum consultivo. Questa affermazione vale ragione di più in quanto proviene da un Consiglio Nazionale Ordini Psicologi che è stato capace, con i soldi di tutti, di promuovere il più inutile dei referendum, vale a dire quello sulla modifica del Codice Deontologico su punti già obbligatori introdotti dalla Legge Bersani. Questo approccio ci dice, qualora ce ne fosse ancora bisogno, di quanto sia calata dall’alto l’intera operazione, in un mix culturale di paternalismo e di limitata autonomia (anche se la sottoscrizione di tale accordo e facoltativa) che dubito riceva, in questa forma, sostanziale attenzione da parte dei colleghi. In questo senso si tratta di un’opportunità mancata. La proposta Sipap, per evitare di diventare professionisti “alla carta”, è di interpellare la categoria e partire da lì per la definizione di un testo più assennato, maturo e per questo appropriato.
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