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Dottore, che sintomi dà la felicità? Una risposta allo psichiatra Rosario Sorrentino, ma non solo. di Lelio Bizzarri.
Nella sezione focus medicina del portale Il Tempo.it del 3 giugno ’08 la giornalista Lidia Lombardi ha pubblicato uno stralcio dell’intervista allo psichiatra Rosario Sorrentino nel suo articolo “Panico caldo. Pillole e sport per vincere gli attacchi” . In questo articolo si afferma che l’unica cura per gli attacchi di panico sarebbero gli Inibitori della Ricaptazione della Serotonina, mentre la psicanalisi è un’inutile perdita di tempo. Nell’articolo si afferma senza mezzi termini che “...Se si sta male davvero, non serve stendersi sul lettino a parlare per anni di padri e di nonni. L'analista fa quattro danni: trasforma il problema da acuto in cronico; impone al paziente la vocazione al dolore, impedendogli di prendere medicine che lo fanno stare meglio; gli distrugge la vita perché la sofferenza è tale che si rinuncia al lavoro, alla scuola, a una vita sociale e affettiva; lo prosciuga economicamente, perché decenni di sofà costano quanto un mutuo.”. Una caduta di stile ingiustificata, visto che comunque nell’articolo si faceva riferimento ad importanti ed interessanti studi che mettono in connessione il livello sociale e il livello biologico, nel rispetto di un approccio integrazionista che oggi va per la maggiore nel campo delle discipline che studiano l’essere umano. Infatti, si citano ricerche che evidenziano come i livelli di CO2 nell’aria, il caos e le condizioni disagevoli delle nostre metropoli, stimolino meccanismi ancestrali che pongono l’organismo in uno stato di attivazione attacco-fuga, che farebbe da substrato biologico all’irruzione degli attacchi di panico. Detto questo, non può essere individuata come unica possibilità terapeutica l’utilizzo degli psicofarmaci in quanto i sintomi non sono solo causa della nostra sofferenza, ma anche lo specchio dello scarsissimo livello di qualità della vita. Ci si ostina a voler negare che anche se una malattia ha un sostrato biologico individuabile può allo stesso tempo avere determinanti psicologiche e sociali sulle quali è possibile e necessario intervenire. Inoltre, sbandierando la possibilità di risolvere ogni problema con gli psicofarmaci non solo si propaganda un falso scientifico (il rischio infatti è quello di passare dal trattamento cronico con la psicanalisi al trattamento cronico con gli psicofarmaci), ma ci si nega la possibilità di riflettere sulla condizione esistenziale individuale e collettiva dell’essere umano. Si nega la possibilità di mettere mano alla propria vita per cercare di renderla migliore, di riflettere come migliorare le condizioni ambientali delle nostre città, di costruire relazioni più sane e soddisfacenti, di riportare, in sostanza, il locus of control della nostra vita all’interno anzichè lasciarlo in balia di dinamiche socio-economiche sempre più caotiche e sempre meno a misura di essere umano. Purtroppo anche la psicologia da questo punto di vista sembra aver smarrito la strada. Un tempo (neanche troppo lontano) forniva importanti contributi alle politiche sociali attraverso la psicologia sociale e la psicologia di comunità. Oggi diventa sempre più problematico dare continuità al lavoro che si svolge nei vari ambiti sociali, a causa del fatto che gli enti piuttosto che strutturare nei propri organigrammi equipe di psicologi, sociologi, antropologi, ecc. preferiscono chiedere la collaborazione di Società di professionisti che svolgono un progetto e lì si fermano. Sta poi alla lungimiranza e alla disponibilità economica degli amministratori decidere se continuare il lavoro avviato oppure no. Troppe sono, così, le variabili che possono minare la possibilità di implementare interventi organici e duraturi, si pensi ad esempio all’instabilità politica che sta caratterizzando il nostro paese da 20 anni a questa parte. Spesso un progetto anche se valido, utile ed efficace può non essere riattivato solo perchè una parte politica avversa si è insediata al posto di quella che ne aveva finanziato la prima edizione. Così si perde la possibilità, ad esempio, di fare con continuità training di educazione socio-affettiva nelle scuole. Nel frattempo esplodono le grandi contraddizioni sociali: bullismo, stupri e violenze commessi anche da ragazzini di 12-14 anni, razzismo dilagante anche nei bambini. La paura si diffonde e non c’è da stupirsi se l’ansia diventa l’emozione che fa da tono di fondo per milioni di persone. Soprattutto non si può pensare di ingannare il cervello a lungo con gli psicofarmaci che come un moderno oppio tecnologico possono solo ottundere la nostra mente, riducendone il livello di coscienza e di consapevolezza. Prima o poi le contraddizioni esplodono e rischiano di coglierci di sorpresa: improvvisamente apprendiamo dalla cronaca che le violenze domestiche e/o tra vicini sono sempre più frequenti e esacerbate, che decine di migliaia di bambini sono vittime dei pedofili e che sono milioni, solo nel nostro paese, le persone che soffrono di depressione, disturbi d’ansia e disordini del comportamento alimentare. In chiave preventiva, sono convinto, sia necessario aiutare le persone a ricercare la propria felicità piuttosto che riversare rabbia e insoddisfazione sulla vita degli altri. Rispetto a questo la psicologia può fare molto purchè decida di smettere di imitare i medici fossilizzandosi sulla cura della psicopatologia e si impegni nella produzione della salutogenesi e del benessere. Tanti sono gli strumenti che la psicologia può utilizzare dal counseling individuale e di gruppo ai laboratori di teatro, dai colloqui di orientamento al lavoro ai training di assertività, dalle consulenze di coppia ai corsi di formazione sull’intimità e la sessualità. In conclusione: mai come in questo caso creatività fa rima con felicità.
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