Società italiana psicologi area professionale - click sul logo per tornare alla homepage


 

Gli studi di settore per gli

Psicologi e le novità della

Finanziaria 2008

Marco Nicolussi

Referente Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi

per gli Studi di Settore

Presidente Ordine degli Psicologi del Veneto

 

Gli studi di settore nascono con la finalità di determinare il “compenso puntuale” delle diverse categorie merceologiche e professionali. Si basano su alcuni criteri che ne definiscono la tipologia specifica della prestazione come l’organizzazione fisica e strumentale dello studio o dell’attività, il numero di clienti, le spese sostenute, i compensi conseguiti, ecc. Determinando i livelli medi di guadagno, individuano il riferimento per la selezione dei contribuenti da sottoporre a controllo e/o ad accertamento.

Per la nostra categoria sono stati individuati dodici raggruppamenti (clusters) determinati sia sulla base della tipologia di attività svolta, sia sulla base degli aspetti strutturali della stessa. I diversi modelli organizzativi individuati, come la specializzazione professionale, la tipologia di clientela, la presenza di strutture dedicate all’attività, la modalità di svolgimento dell’attività, ecc. evidenziano, ad esempio, le specifiche attività di psicologi e psicologi-psicoterapeuti tra cui consulenza psicologica clinica, sperimentazione, ricerca, formazione, didattica, consulenza di psicopatologia giuridica, consulenza psicologica per il lavoro e le organizzazioni, interventi individuali e/o di psicoterapia familiare, di coppia, di gruppo e così via. Gli psicologi interessati alla compilazione dei questionari per la realizzazione e la successiva evoluzione degli studi di settore sono stati 10.401, i questionari restituiti sono stati 9.208, il tutto a fronte di una categoria che conta oramai circa 30.000 libero professionisti. Queste cifre lasciano facilmente intuire quanto gli studi di settore attualmente vigenti rischino di essere poco fedeli alla realtà professionale odierna. Il raggruppamento più numeroso si riferisce agli studi specializzati in psicoterapia individuale operanti in strutture ad uso esclusivo e si caratterizza per la presenza di studi specializzati in psicoterapia che effettuano principalmente sedute individuali. Le superfici adibite a studio sono destinate in modo esclusivo allo svolgimento dell’attività e sono, mediamente, di poco più di una trentina di metri quadri. La clientela è formata quasi interamente da privati e i compensi sono determinati prevalentemente per singola prestazione. I colleghi di questo cluster hanno un’anzianità professionale di 9-10 anni. Riguardo i tempi di avvio della professione le cose non vanno tanto meglio negli altri raggruppamenti: l’anzianità professionale, infatti, rimane a 9-10 anni per gli psicologi specializzati in psicoterapia individuale, familiare e di gruppo operanti, però, in studi ad uso promiscuo; negli altri casi scende a 6-7 anni in media e diminuisce, infine, a 5-6 anni per i colleghi che operano in prevalenza con associazioni e cooperative sociali. Quest’ultimo raggruppamento inizialmente non era stato considerato negli studi di settore della nostra categoria, ed è stato inserito grazie ai rilievi posti dal precedente referente nazionale, Tullio Garau, indicando i numerosi colleghi che, lavorando nel Terzo Settore, percepiscono mediamente bassi compensi.
Breve cronistoria degli studi di settore della categoria di Psicologi. È del 2000 la prima sperimentazione dello studio di settore. Gli anni successivi, fino al 2005 compreso, sono periodi di analisi, di approfondimento e di verifica della versione “evoluta” degli studi di settore. Nel mese di marzo 2005 un decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze ne prevede l’applicazione “monitorata”; nello stesso decreto, inoltre, si definisce l’anno successivo come termine ultimo per l’approvazione definitiva dello studio da parte del Ministero. Il 22 febbraio 2006 la Commissione degli Esperti per gli Studi di Settore dell’Agenzia nazionale delle Entrate invia al Ministero un parere per l’anno d’imposta 2005 dove viene sottolineata la necessità, relativamente agli studi di settore di alcune attività professionali, tra le quali gli psicologi, di effettuare ulteriori indagini, analisi ed approfondimenti prima dell’approvazione definitiva, avendo constatato alcuni elementi di criticità nella fase applicativa degli studi. Tale commissione, prevista dalla legge, ha il compito di esprimere un parere, obbligatorio ma non vincolante, prima dell’approvazione e della pubblicazione dei singoli studi di settore, in merito all’idoneità degli studi stessi a rappresentare la realtà cui si riferiscono. Nel mese di marzo, pertanto, il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze proroga l’applicazione “monitorata” di alcuni studi relativi alle attività professionali, tra cui anche la nostra; nel decreto viene inoltre stabilito che gli studi per i quali è stata prevista la proroga del monitoraggio dovranno essere definitivamente approvati entro il 31 marzo dell’anno successivo (2007).
Nel mese di dicembre 2006, il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi nomina il sottoscritto, in quanto libero professionista, referente nazionale per gli studi di settore, in sostituzione del collega Tullio Garau, dimissionario.
L’8 febbraio 2007 si riunisce nuovamente la Commissione degli Esperti per gli Studi di Settore al fine di emettere il consueto parere da inviare al Ministero dell’Economia e delle Finanze. Come sopra riportato per la nostra categoria si trattava di dare parere favorevole o meno all’approvazione definitiva. In qualità di referente della professione di psicologo, ho chiesto alla Commissione la prosecuzione del monitoraggio delineando le criticità presenti come, ad esempio, la difficoltà degli studi di settore a cogliere correttamente la diversificata tipologia delle nostre diverse aree professionali, i concreti problemi di avvio e sviluppo professionale conseguenti all’eccessiva numerosità dei professionisti psicologi (aumento significativo negli ultimi anni e che continua), e pertanto una generalizzata bassa redditualità, ma anche l’introduzione della legge Bersani che, abolendo le tariffe minime e liberalizzando la pubblicità professionale, avrebbe sicuramente scompaginato i raggruppamenti delineati dagli studi di settore.
Purtroppo la richiesta del sottoscritto (ma anche quella di altri referenti come, ad esempio, dei medici) non è stata accolta. Dal mese di marzo 2007, pertanto, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha approvato definitivamente gli studi di settore per la categoria degli psicologi. A questo punto non si è più potuto richiedere, vista l’approvazione definitiva, la convocazione dei gruppi di lavoro per l’analisi e il monitoraggio degli aspetti critici degli studi stessi. Le conseguenze concrete dell’approvazione definitiva degli studi di settore per la nostra categoria comportano, nell’immediato, verosimili accertamenti da parte dell’amministrazione finanziaria a seguito di non coerenza e non congruità. Certamente tutti i cittadini devono pagare le tasse, professionisti psicologi inclusi, questo è fuori discussione. Ma la tassazione deve essere equa e deve riferirsi all’effettivo reddito realizzato dal libero professionista. Ritengo, con serenità ma con fermezza, che non possiamo, e non dobbiamo, accettare questi studi di settore così come sono formulati. Non sono in grado di cogliere il reddito reale della nostra categoria che, ricordo, ha un’altissima percentuale di disoccupazione e precarietà, tempi assurdamente lunghi per l’avviamento della professione e, quindi, redditi molto bassi per diversi anni. Inoltre, dobbiamo necessariamente considerare che la legge Bersani ha cambiato radicalmente le cose e pertanto gli studi di settore diventano francamente inutilizzabili già per l’anno di imposta 2006. Le liberalizzazioni infatti rendono più difficile il controllo statistico-matematico e non considerano le  nuove e diverse realtà territoriali. Con le liberalizzazioni  verranno automaticamente stravolti i criteri di coerenza e di congruenza per cui i ricorsi agli accertamenti alla commissione tributaria troverebbero terreno fertile per la contestazione degli studi di settore.
La conditio sine qua non di chi svolge un’attività libero professionale è la competenza nell’area di intervento individuata. Svolgere qualitativamente il proprio lavoro permette la crescita e lo sviluppo dell’attività. Tuttavia non è sufficiente: il libero professionista deve anche conoscere gli aspetti fiscali e contabili. È fondamentale, infatti, avere ben chiaro, ad esempio, che le entrate (nel nostro caso le parcelle e gli onorari) sono elementi fondamentali dell’attività quanto le uscite. Se spendo più di quello che guadagno la mia attività è in perdita. Ovvio. Ecco allora che un accorto libero professionista controlla con cura sia di aumentare le entrate, incrementando quantitativamente (ma anche qualitativamente!) le sue prestazioni, che di contenere le uscite. Altrimenti, usando una semplice metafora, è come se si continuasse a riempire di liquido un contenitore pieno di buchi. Il liquido continua a fuoriuscire lasciando il contenitore quasi vuoto. Una dignitosa attività professionale deve pertanto avere una significativa differenza tra le entrate e le uscite, a favore delle prime chiaramente. Applicando questo concetto alla nostra professione, possiamo considerare che le spese tipiche (affitti, utenze, testistica, libri, aggiornamenti, ecc.) incidono in percentuale minore rispetto alle tasse e agli altri “balzelli”; in altri termini le “uscite” fiscali, insieme ai contributi previdenziali ENPAP (...ma questa è un’altra storia…) gravano frequentemente in misura maggiore rispetto le altre “uscite”.
Insieme a questo dato di fatto si aggiunge che, con l’approvazione definitiva nel 2007 (già per l’anno d’imposta 2006) degli studi di settore per la nostra categoria, corriamo pure il rischio di non essere coerenti e/o congrui, ed essere soggetti ad accertamento fiscale. Ciononostante, la scelta di “adeguarsi”, versando all’amministrazione finanziaria la differenza tra il reddito presunto dagli studi di settore per il nostro raggruppamento e il reddito effettivamente percepito, presenta delle perplessità: anche se l’eventuale adeguamento ai ricavi o ai compensi congrui è avvenuto spontaneamente in dichiarazione, per l’amministrazione finanziaria non ha rilievo se permane l’incoerenza, che costituisce una spia importante sull’attendibilità complessiva dei dati forniti dal contribuente. Importanti spiragli e novità però si stanno aprendo sugli studi di settore: nel mese di ottobre scorso è stato emanato dall’Agenzia delle Entrate un provvedimento di “Istituzione degli Osservatori regionali per l’adeguamento degli studi di settore alle realtà economiche locali”. In pratica presso ogni Agenzia delle Entrate “regionale” dovrà essere istituito un osservatorio con specifiche funzioni di individuazione sul territorio di particolari situazioni e problematiche legate ai diversi studi di settore. Le questioni più rilevanti trattate da questo osservatorio, nonché le soluzioni proposte, saranno trasmesse poi anche alla Commissione degli Esperti; inoltre le stesse potranno
anche essere adottate dalle Agenzie delle Entrate territoriali in sede di accertamento, a tutto vantaggio dei contribuenti.
Legge Finanziaria per il 2008 (Legge 244/07). Anche l’ultima  legge finanziaria contiene importanti novità su questo versante: è stato infatti istituito un nuovo regime fiscale agevolato cosiddetto dei “contribuenti minimi”. Possono aderire a questo regime i colleghi libero professionisti che abbiano meno di 30.000 euro di compensi annui, investimenti in beni strumentali non superiori a 15.000 euro in un triennio, e che non corrispondano compensi a dipendenti o collaboratori. E, udite udite, coloro che vi aderiscono sono esclusi, per espressa previsione normativa, tanto dagli studi di settore quanto dal pagamento dell’IRAP. L’esclusione dagli studi di settore trae origine dal fatto che questi contribuenti sono considerati in condizione di “marginalità economica” e, in quanto tali, lo studio di settore non sarebbe in grado di cogliere in modo esatto la loro situazione. Finalmente!
L’Agenzia delle Entrate, con un comunicato di giugno 2007, ha di fatto per la prima volta ammesso la possibilità di malfunzionamenti del software degli studi di settore (GERICO), soprattutto con riferimento a categorie di contribuenti che non possono essere confrontati con lo standard utilizzato nella elaborazione dello Studio di Settore (definiti dalla stessa Amministrazione Finanziaria come “contribuenti marginali”). La ratio di tale esclusione dovrebbe, a ben vedere, condurre alla medesima esclusione anche per i contribuenti che hanno aderito al regime delle nuove iniziative produttive (i cosiddetti “forfettini” che hanno un regime agevolato che perdura per non più di tre anni ed è accessibile solo a chi inizia una nuova attività). Costoro infatti, al pari dei contribuenti minimi, percepiscono compensi inferiori alla soglia dei 30.000 euro all’anno e, ancor più dei contribuenti minimi, si trovano in condizioni di marginalità economica per il fatto di aver appena intrapreso un’attività libero-professionale che, come anche sopra ricordato, richiede per moltissimi psicologi, se non per tutti, tempi molti lunghi di avvio della professione. Certo, il legislatore non ha ritenuto di estendere ufficialmente ai “forfettini” l’esclusione dagli Studi, ma è altrettanto vero che, alla luce di quanto definito per i contribuenti minimi, diventa più facile, per i colleghi “forfettini”, sostenere davanti agli Uffici Finanziari la loro situazione di “marginalità economica”, se non altro per le assonanze che li avvicinano ai “contribuenti minimi”. Non dimentichiamo, inoltre, che già nel modello unico dell’anno scorso, compilato la scorsa estate per i redditi relativi al 2006, era possibile, per i soggetti non congrui agli studi di settore, attestare le ragioni della loro non congruità, segnalando e argomentando, ad esempio, la propria “marginalità economica“. Sono convinto che questa attestazione, alla quale dovrebbe essere possibile ricorrere anche nelle prossime dichiarazioni dei redditi, consentirà ai colleghi di affrontare con maggior serenità l’eventuale accertamento che si dovesse instaurare con l’amministrazione finanziaria proprio a causa della non congruità agli Studi. Beninteso: impostando una chiara linea difensiva definita a priori. Infine, non possiamo non ricordare che molti colleghi tendono a condizionare le loro scelte professionali in funzione di un’eventuale non congruità agli studi di settore, giungendo talvolta addirittura alla paradossale conclusione che è meglio non aprire o, peggio ancora, è meglio chiudere la loro posizione IVA! Mi auguro, pertanto, che quanto descritto possa essere di contributo ai colleghi per “vivere” con maggiore tranquillità e serenità eventuali situazioni di non congruità agli Studi, permettendogli anche di considerare l’importanza di giungere preparati al contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria. Ancora, mi auguro anche che queste considerazioni aiutino a rasserenare gli animi dei colleghi che, negli anni passati, hanno presentato dichiarazioni con studi di settore non congrui; chi infatti avesse avuto situazioni economiche riconducibili al modello dei “contribuenti minimi”, potrà più facilmente sostenere, in sede di contraddittorio, per quegli anni la propria situazione di “marginalità economica”, rifacendosi al concetto di “marginalità” delineato dallo stesso legislatore proprio con la legge Finanziaria per il 2008. Chiaramente sempre impostando e motivando le argomentazioni con un’adeguata linea difensiva, preparata accuratamente con il proprio commercialista, che dev’essere necessariamente competente per la categoria degli psicologi.
Diversamente, invece, dev’essere considerata la situazione di coloro che dichiarino compensi superiori a 30.000 euro all’anno. In questo caso si presenta un duplice problema: verificare, da un lato, se lo studio di settore è realmente in grado di fotografare la realtà economica che li riguarda; verificare, dall’altro, se questi colleghi curano in maniera corretta e con uniformità di criterio la compilazione dello studio di settore, in quanto i modelli studi di settore mal compilati, e che determinano erronee situazioni di non congruità, o peggio, false situazioni di congruità, sono molto più frequenti di quel che si crede. Si prospetta pertanto la necessità di affrontare in modo sistematico entrambe le problematiche pensando ad un prossimo censimento (rigorosamente anonimo) degli studi di settore presentati in passato dai colleghi che abbiano dichiarato più di 30.000 euro di compensi annui, allo scopo di redigere una statistica degli Studi non congrui e verificando quali elementi degli stessi possono creare delle distorsioni sull’esito della congruità. Ciò consentirebbe al sottoscritto di portare alla Commissione degli Esperti per gli Studi di Settore dell’Agenzia nazionale delle Entrate argomentazioni avvalorate da dati statistici, e permettere così di svolgere un ruolo più proficuo nella formulazione di pareri preventivi in ordine all’idoneità dello studio di settore per la nostra categoria professionale.

Leggi tutte le notizie