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Inadeguato il sistema pensionistico privato

 

La Corte dei Conti stigmatizza l’inadeguatezza del sistema pensionistico delle casse private

di Giovanni Greco

 

Un quadro complessivamente positivo emerge dalla relazione della Corte dei Conti  relativa all’esercizio 2006 dell’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza Psicologi.

Si evidenzia il raggiungimento di importanti obiettivi nel quadro generale della gestione dell’ente.

Innanzitutto, un ulteriore incremento del patrimonio netto pari al 66% rispetto al 2005 che permette all’Ente di sfondare il tetto dei 28 milioni di euro (28.209.000,00 euro).

Ulteriori  dati interessanti riguardano il numero degli iscritti e il conseguente livello di contributi versati. Infatti, alla data del 2006 l’ENPAP conta 25.976 iscritti a fronte di 577 pensionati con un rapporto di un pensionato ogni 44 iscritti. Il Fondo conto contribuzione soggettiva ha superato i 310 milioni di euro, mentre il Fondo conto pensione ha raggiunto quasi i 7 milioni di euro (6 milioni e 886 mila euro). Dati  che testimoniano un’importante inversione di tendenza e danno la misura di come si sia  imboccata la strada giusta. Lo testimonia, su tutto, il fatto che gli iscritti ENPAP hanno da quest’anno, offerta gratuitamente dall’Ente, un’assistenza sanitaria integrativa  che permette loro di chiedere un rimborso fino a 360.000 euro per interventi chirurgici e ricoveri per gravi traumi o eventi morbosi.

Siamo, comunque, ben lontani dall’effettivo raggiungimento degli obiettivi che costituiscono la mission dell’Ente:  garantire una pensione di anzianità che permetta una decorosa qualità della vita anche in vecchiaia e offrire una assistenza socio-sanitaria a tutto tondo.

Due dati emblematici, stigmatizzati anche dalla relazione della Corte dei Conti, sono i 1.091,13 euro annui per i pensionati uomini e gli 836,11 euro annui per le pensionate donna.

Una parziale attenuante per l’esiguità delle pensioni è la sua giovinezza (l’ENPAP ha iniziato le sue attività  nel 1997), infatti gli attuali pensionati hanno potuto versare non più di 10 anni di contributi, tuttavia è impossibile non notare come questi due dati riflettano in maniera esasperata due grandi contraddizioni socio-economiche dell’Italia della II° Repubblica:

-         la sperequazione reddituale tra il genere maschile e il genere femminile a marcato svantaggio di quest’ultime (la regola generale nel nostro paese è, infatti, che le donne guadagnino meno degli uomini);

-         la crisi dei sistemi pensionistici e i maldestri tentativi di riforma a partire dalla legge Dini, che hanno finito per essere un rimedio peggiore del male.

Se la spiegazione del verificarsi di una così marcata differenza tra i redditi dei lavoratori e quelli delle lavoratrici, è argomento che esula dall’obiettivo di questo contributo, è utile spendere due parole per spiegare ai nostri lettori quali siano le ragioni delle casse di previdenza per professionisti  di erogare pensioni congrue.

A tal fine dobbiamo, prima soffermarci sulla differenza tra Sistema Pensionistico Retributivo e Sistema Pensionistico Contributivo.

Con il Sistema Pensionistico Retributivo il pensionato, una volta raggiunto il limite di età contributiva (pensione di anzianità) o il limite di età cronologica (pensione di vecchiaia), riceve una pensione che attinge da un fondo che viene finanziato con i contributi dei lavoratori ancora in attività (per intendersi l’INPS adotta questo sistema pensionistico). Se questo sistema ha il vantaggio che riesce (almeno per il momento) ad erogare delle pensioni relativamente consone al costo della vita (anche se con forti disuguaglianze sociali), ha l’inconveniente che fattori quali il progressivo invecchiamento della società, il lavoro nero, la disoccupazione di ampi settori giovanili e l’incremento della speranza di vita, determinino l’eventualità che i contributi versati dai lavoratori siano insufficienti a coprire gli oneri pensionistici dovuti dall’Istituto di Previdenza. In un’eventualità di questo genere  si deve ricorrere alla fiscalità generale per pagare le pensioni. In altre parole, lo Stato si trova costretto a pagare il buco finanziario dell’INPS.

Per questo motivo, con la legge Dini del 1994, è stato introdotto il Sistema Pensionistico Contributivo adottato dalle casse previdenziali dei liberi professionisti tra le quali anche l’ENPAP. Nel nostro Ente di Previdenza, infatti, ogni iscritto ha un estratto conto in cui vengono sommati i contributi versati i quali vanno a formare il fondo pensionistico di ognuno di noi, ovviamente dopo che detti contributi sono stati rivalutati per difendere il loro potere d’acquisto dall’inflazione. Questo sistema ha il vantaggio di mettere a riparo l’Ente da eventuali situazioni di insolvenza e l’Erario dalla necessità di dover coprire le inadempienze dell’Ente.  D’altra parte, adottare il sistema pensionistico contributivo significa che la pensione che ognuno di noi riceverà sarà direttamente proporzionale all’ammontare di contributi versati, ne consegue che se si versano pochi contributi si avrà indietro una esigua pensione e viceversa.

Attualmente la legge prevede che gli iscritti ENPAP possano scegliere di versare da un minimo obbligatorio dcl 10% a un massimo facoltativo del 20% del loro reddito netto annuo (Contributo Soggettivo). A questa parte di contributi a carico del lavoratore, vanno sommati i contributi a carico dei clienti/pazienti che constano del 2% dell’imponibile di ogni fattura emessa dal libero professionista (Contributo integrativo).  Altre categorie professionali afferenti ad altri istituti di previdenza  si attestano sul 24-28%.

In sostanza, l’importo delle pensioni erogate dall’ENPAP  attiene ad un discorso molto più  globale  e complesso di riforma socio-economica del paese che affronti i seguenti punti:

1.     Riforma del sistema pensionistico per affrontare con coraggio la questione delle aliquote contributive;

2.     Rilancio dell’economia e della professione per costruire maggiori ambiti applicativi della disciplina psicologica ed adeguare le retribuzioni degli psicologi che lavorano nel settore sociale, cenerentola del sistema produttivo;

3.     Maggiore tutela delle pari opportunità garantendo anche alle colleghe di genere femminile, che costituiscono l’80% della categoria, la possibilità di ricoprire cariche dirigenziali e istituzionali di alto livello.

Da quanto detto fin qui si evince come sia auspicabile una sinergia di intenti e di prassi tra politica, rappresentanti di categoria (Ordine Nazionale e Ordini Regionali) e organi previdenziali per garantire un maggior benessere socio-economico e una più puntuale tutela sociale dei colleghi/e psicologi/e.

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